Parlare non è comunicare

Parlare non è comunicare

Spesso, con tutte le buone intenzioni, ci vediamo puri, duri, integerrimi e non veniamo mai sfiorati dal fatto che possiamo essere fallaci, stupidi, sprovveduti, nella nostra comunicazione.

E' sempre colpa degli altri, c'è sempre una buona giustificazione nel dare responsabilità delle nostre delusioni, dei nostri insuccessi, delle nostre manchevolezze a fattori esterni. Lui, lei, la crisi, la situazione contingente, il mercato, i cinesi, i marziani, i terrapiattisti, i pastafariani, quelli che non mi capiscono, non si spiegano, tutti sono contro di me.

Siamo bravissimi ad affermare la nostra enorme dissonanza cognitiva, clicca qui per leggere cosa significa

Siamo molto bravi a comunicare le nostre ragioni, a cui noi crediamo fermamente, piuttosto che ad ascoltare quelle degli altri. Interpretiamo quello che gli altri ci dicono secondo il nostro schema mentale, senza minimamente ascoltare quello che ci viene detto.

Già, spesso, interpretiamo invece che semplicemente ascoltare quello che ci viene detto.

La dissonanza cognitiva ci frega: più siamo convinti di una cosa, più troveremo le conferme che quella cosa è vera, anche quando tutte le evidenze, in realtà, dimostrano il contrario.

La consapevolezza

La consapevolezza che la dissonanza cognitiva esiste è già un primo passo, sapere poi che anche noi non ne siamo immuni è il secondo. Ci permette di accettare il fatto che anche noi facciamo e diciamo stupidaggini, riconoscerlo, cercare di rimediare quando è possibile, farsene una ragione se non è possibile e andare avanti.

C'è un bellissimo passaggio nel film "Il magico mondo di Amelie" in cui si dice: "Aggiungiamo qualche dubbio alle nostre certezze".

Aggiungere qualche dubbio alle nostre certezze ci permette, secondo me, di vivere meglio con gli altri, ma anche, e soprattutto con noi stessi.

Non significa non essere decisi, determinati o incisivi: significa poter pensare che la persona che ho davanti se mi dice una cosa, non lo fa perché vuole attaccarmi o aggredirmi, ha semplicemente un punto di vista diverso dal mio.

Avere un punto di vista diverso è normale, cercare di capire quello dell'altro, senza necessariamente volerglielo far cambiare è la chiave per far fluire comunicazione invece che continuare a scoreggiare parole.

L'onere della prova

L'onere di farci capire non dipende da chi ci ascolta ma da noi e non conta quali sono le nostre intenzioni, conta solo quello che arriva agli altri.

Se non riusciamo a farci capire è inutile dire "tu non mi capisci" è utile provare a spiegarsi meglio, se si vuole o si deve entrare in comunicazione con l'altra persona.

Nella frase qui sopra ho scritto "se si vuole o si deve" perché non necessariamente io voglio o devo entrare in comunicazione con un'altra persona. Posso anche sbattermene altamente di quello che pensa o dice, senza dover per questo sentirmi, ferito, offeso o intristito.

E' il livello di rapporto che ho che genera lo stress emotivo: se a dirmi una cosa è una persona della mia cerchia più stretta, è un conto. Se la stessa cosa me la dice qualcuno che mi è vicino ma non è un mio intimo è un altro conto. Quando me la dice qualcuno che conosco superficialmente un altro ancora e se me lo dice qualcuno che non mi conosce direttamente è completamente diverso.

A volte, osservo persone che reagiscono a tutte le comunicazioni, di qualsiasi persona, allo stesso modo. In questi casi penso che ci siano problemi con se stessi, più che con gli altri.

Se ogni persona che ci contraddice ci fa imbufalire, arrabbiare, stizzire, intristire, proviamo a guardarci dentro: è possibile che siano sempre gli altri ad avere torto?

Se riusciamo ad andare d'accordo solo con le persone che la pensano come noi e con gli altri, ogni volta, ogni discussione, la viviamo come un reato di lesa maestà, caspita, facciamoci una domanda.

Riflettiamo su questo e marzullianamente, dopo esserci fatti la domanda, diamoci anche la risposta.

Se ci interessa migliorare la nostra comunicazione, osserviamo il nostro modo di parlare, proviamo ad astrarci guardandoci dall'esterno e ascoltiamoci.

Ogni volta che nelle nostre frasi il soggetto "sono gli altri", o "la colpa è degli altri", stiamo dando "agli altri" responsabilità che sono nostre, è il caso del tipico: "Non mi capisci".

Iniziamo a provare a pensare che non sei tu che non mi capisci, magari sono io che non mi spiego e provo a rispiegartelo. Quando io uso termini del tipo:"Non mi capisci" dall'altra parte lui, probabilmente, anche se magari a livello inconscio, sta pensando:"Non sono io che non capisco sei tu che non ti spieghi".

Consapevolezza

Dobbiamo essere consapevoli che ognuno di noi, io e il mio interlocutore, quando ci approcciamo uno all'altro, siamo belli pieni dei nostri pregiudizi e convincimenti. Per comunicare, se ci interessa farlo, dobbiamo superarli e ascoltare cosa viene detto, non comparandolo con quello che ci aspetteremmo debba essere detto. Dovremmo semplicemente ascoltare e analizzare il contenuto del messaggio senza, possibilmente, filtrarlo con il tipo di relazione o sentimento che ci suscita l'altro.

Spesso, quando gli altri ci parlano, non li ascoltiamo nemmeno, ma stiamo già pensando a quello che abbiamo da dire noi.

Comunicare, significa prima di tutto saper ascoltare.

Ascoltare: questa cosa magica e quasi leggendaria che quando riusciamo a provarla ci apre le porte del cuore degli altri, o quanto meno non ci avvelena.

Ascoltare significa anche avere il diritto di ritirarsi da una comunicazione.

Comunicare ritirandosi dalla comunicazione?

Si, può succedere che in alcuni casi, ti rendi conto che non riesci a comunicare, che, nonostante tutti i tuoi sforzi e la causatività che ci hai messo, dall'altra parte non ci sono spiragli, non si riesce a scalfire l'indisponibilità al dialogo, che fare?

Meglio ritirarsi che continuare a scontrarsi contro un muro, alimentando incendi che non hanno ragione d'essere ma che fanno male, a tutte le parti in causa.

Il silenzio a volte è la miglior comunicazione: permette all'altra persona di riflettere, spegne una polemica, riporta le cose alla giusta dimensione. Ci permette di vedere le cose, in un secondo momento, in una nuova dimensione di spirito e di tempo. A me personalmente, spesso il silenzio aiuta.

Il grande problema di oggi nel comunicare

Il grande problema, di cui spesso non teniamo conto, soprattutto con la facilità che abbiamo di usare i nuovi mezzi tecnologici a nostra disposizione, in primis i social, ma ci includo anche le mail e gli strumenti affini, è che scrivere, secondo me, non è comunicare: è parlare.

Quando scriviamo, non abbiamo davanti il nostro interlocutore e non tutti i sensi in gioco quando si comunica sono visibili. Non vediamo le emozioni e lo stato d'animo della persona nel momento in cui riceve il nostro messaggio. Non vediamo la sua espressione non verbale, non vediamo il contesto puntuale in cui si trova nel momento in cui apre e legge il nostro messaggio.

Tutti i fattori che ho scritto qui sopra incidono non poco sugli effetti della nostra comunicazione.

Scrivendo senza avere davanti "fisicamente" la persona o quanto meno in una call, tutta la parte non verbale della comunicazione non la vediamo o meglio, ne vediamo gli effetti leggendo le risposte, ma non quello che si genera quando scriviamo.

Per questo motivo dico sempre e cerco di attenermici anch'io, anche se a volte anche a me la situazione sfugge di mano, che non si dovrebbe mai rimproverare qualcuno tramite una mail. Non si dovrebbe mai innescare una discussione tramite una mail: la mail serve per ribadire e fissare concetti che abbiamo discusso comunicando, vedendoci, sentendoci. Ti ci trovi vero in quello che sto scrivendo?

Mettiamoci la faccia

Riscopriamo l'arte di metterci la faccia, che pigramente abbiamo perso, avendo delegato a strumenti tecnologici impersonali, la difficoltà oggettiva che c'è nello stare di fronte agli altri.

Metterci la faccia significa avere la disponibilità, la pazienza e a volte anche il coraggio, di dire le cose guardando in faccia il nostro interlocutore, cercando di non farci sopraffare dalle nostre emozioni ed essendo disponibili ad ascoltare.

Non è facile, ma metterci la faccia e ascoltare ci mette in grado di riuscire ad abbattere barriere che a volte sembrano insormontabili e ricucire strappi in modi impensabili.

Certo, se tu non mi interessi non sono obbligato a metterci la faccia. Nessuno può obbligarmi a comunicare con te e viceversa. Però, se dobbiamo lavorare insieme, se dobbiamo vivere insieme, se dobbiamo relazionarci in modo stretto direi che migliorare il nostro livello di comunicazione fa parte delle dotazioni di serie che dobbiamo avere, non degli accessori opzionali.

Te lo dico per esperienza, vale la pena provarci. Anche se è difficile.

Il mantra di questo post è: farcicapireèunanostraresponsabilitànondichiciascolta

Per oggi è tutto.

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