Il passaggio generazionale, ne usciremo vivi?

Il passaggio generazionale, ne usciremo vivi?

E' il momento più difficile della vita di un'impresa.

Il più destabilizzante psicologicamente sia per chi deve passare il testimone, sia per chi deve riceverlo, è un fatto: separare la famiglia dall'azienda è molto complicato e richiede freddezza e sangue freddo che mal si coniugano con i legami di sangue.

"Se voglio avere la possibilità di fare qualcosa d'importante, devo guadagnarmi la reputazione necessaria". 

In questa frase c'è l'essenza del passaggio generazionale: se sono "l'erede al trono" la reputazione la devo conquistare, non ce l'ho di diritto.

Devo pagare il prezzo che c'è da pagare, senza se e senza ma, senza fare i capricci e rendendomi conto che "la ditta" è la mia sorella maggiore, senza la quale io non avrei avuto gli agi e le opportunità che ho.

Se sono "l'imperatore o imperatrice" lo devo permettere, senza trattare l'erede come un figlio o figlia da proteggere eternamente mentre però continuo a cazziarlo considerandolo un infante anche quando ha 40 anni, devo pretendere il rispetto delle regole come farei per qualsiasi altro dipendente, concedendogli di "essere se stesso" e non la mia brutta copia.

E' la cosa più difficile da fare, per entrambe le parti.

Si, belle parole, ma come si fa?

Se non si ha la lucidità e la competenza necessaria ci si fa dare una mano: consulenti, allenatori, avvocati, commercialisti, gestori patrimoniali, possono dare una mano.

Io mi trovo spesso a lavorare in aziende in cui c'è da impostare un passaggio generazionale, recentemente un imprenditore mi ha detto: "Non riesco a capire perché devo pagarti tutti i soldi che ti pago per farmi dare una mano a parlare con i miei figli e aiutarmi a dirgli quello che cerco di dirgli da cinque anni senza essere ascoltato. Ma sono contento di pagarti le fatture, perché le cose si stanno muovendo in positivo".

A volte, un occhio esterno, di esperienza in queste dinamiche, che non è coinvolto emotivamente, riesce ad aiutare ma a una sola condizione: che non faccia il tifo né per i senior, né per i junior.

E' l'azienda che va preservata e bisogna fare il tifo per l'azienda, non per i componenti, presenti o futuri, della proprietà.

Questa è la chiave di volta: cercare di far comprendere a tutte le parti coinvolte nel passaggio generazionale che anche loro, individualmente, devono fare il tifo per l'azienda e non per le loro convenienze personali.

E' difficile, certamente, perché entrano in gioco tanti fattori oltre alla famiglia, non ultime le competenze manageriali che spesso non ci sono ancora.

Competenze manageriali quali gestione del gruppo, gestione del tempo e delle deleghe, organizzazione, che una volta erano una prerogativa solo di grandi aziende e quindi a noi piccoli non servivano. Una volta: quando per stare sul mercato era sufficiente saper lavorare bene e avere voglia di lavorare.

Una volta. Oggi invece per riuscire a navigare nel mare liquido della conoscenza condivisa, di mercati velocissimi e mutevoli sono competenze indispensabili.

In un passaggio generazionale, oltre che gestire la parte alta, relativa alla proprietà, è obbligatorio sviluppare delle attitudini manageriali, sia da parte dei senior che da parte dei junior. Per non trovarsi a 80 anni ancora sul ponte di comando con figli che ne hanno 50 e non possono e non sanno decidere nulla.

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