I conflitti nel passaggio generazionale

Mai come in questi tempi i conflitti generazionali sono acuiti, vale per i normali rapporti famigliari, vale ancora di più per i passaggi generazionali nelle aziende.

Io sono stato figlio e sono padre, so di cosa sto parlando, come molti di voi, perché l'ho vissuto da tutte e due i lati del tavolo.

Una cosa però rispetto al conflitto generazionale tra me e miei genitori è cambiata oggi: la distanza tra le generazioni, la tecnologia, le opportunità e la sociologia.

Mi spiego meglio: fino alla mia generazione, io sono nato negli anni 60, non c'era una grande differenza negli stili di vita tra una generazione e l'altra.

Certo, c'erano delle innovazioni tecnologiche ma molto lente e raramente disruptive.

I modelli di business sono passati da agricolo a industriale in modo progressivo e la cultura famigliare è sempre stata più o meno la stessa: la famiglia era patriarcale dove i figli, generalmente, una volta smarcati dall'ambiente famigliare, erano in grado di costruire qualcosa di più importante di quello che avevano costruito i loro genitori.

E' stato così per mio bisnonno, mio nonno, per mio papà e per me, rischia di non essere così per i miei figli.

A questo proposito vi suggerisco di leggere un interessante saggio scritto da Luca Ricolfi che si intitola "La società signorile di massa", lo trovi cliccando qui, che spiega come, dagli anni 60 si sia innescato il fenomeno che stiamo vivendo adesso di cambiamento epocale dal punto di vista sociologico, pratico e di condizione economica tra le generazioni.

Noi figli giudicavamo i nostri genitori e loro cercavano di imporci il loro modello per proteggerci, per non fare i loro stessi errori e generalmente avevano anche ragione, perché avevano esperienza più di noi e il mondo che avremmo trovato noi, era molto simile al loro, certo, macchine un pò più veloci, televisione a colori rispetto a quelle in bianco nero, discoteche invece che balere, i modelli erano gli stessi.

Ora non è più così

Conflitti generazionali, cos'è cambiato rispetto al passato

Negli ultimi venti anni, sono accadute più cose a livello tecnologico e di evoluzione, che dall'inizio della storia dell'umanità.

Un salto quantico inconcepibile negli anni 80 dello scorso secolo e impensabile ai più a inizio anni 2000.

Mio papà è mancato nel 1992, aveva 58 anni, l'età che pressappoco ho io ora, e se gli avessero raccontato tutto quello che sarebbe successo, tecnologicamente e come stili di vita, negli anni a venire, non ci avrebbe creduto e nemmeno io.

Mia mamma ha 84 anni e l'altro giorno mi ha chiamato in video call con il suo smartphone cazziandomi che non mi faccio mai vedere, ricordandomi che ci sono le video call.

Noi stessi oggi troveremmo impensabile vivere senza uno smartphone che ci permette di collegarci con il mondo in tempo reale e che solo nel 2006, 14 anni fa, dico quattordici e lo ripeto, solo quattordici anni fa non esisteva.

E' cambiato il mondo e le generazioni si sono allontanate sempre di più, il fossato generazionale è molto più largo e alto che in passato.

Oggi, i genitori, spesso, in età avanzata mantengono i figli che non hanno un lavoro fisso, i genitori spesso sono smarriti: tutte le certezze sono saltate.

Proprio per questo, alcuni di noi, genitori, diventiamo ancora più paranoici di quello che sono stati i nostri genitori con noi: più duri, più intransigenti, più intolleranti.

Il peso della responsabilità nei vostri confronti, figli, spesso è così alto che il conflitto generazionale non si esaurisce, come succedeva ai nostri tempi, quanto ci si toglieva dalle scatole e si andava a vivere per conto nostro.

Oggi, molti trentenni e anche quarantenni, pur avendo un lavoro, trovano più comodo stare da mamma che lava, stira e cucina senza imparare mai cosa significa tirarsi via il dito dal cubo da soli.

Altri sono obbligati a vivere a casa perché non trovando un lavoro stabile non possono permettersi di uscirne.

Capisci che questa è una stortura? A un certa età sono i figli che dovrebbero occuparsi dei genitori e non viceversa: sono saltati tutti gli schemi e noi siamo smarriti, non è il mondo in cui siamo cresciuti e diventati adulti.

La vita è diventata, per fortuna, molto più lunga, oggi a 60 anni siamo dei ragazzini, vent'anni fa eravamo anziani, aspettavamo la pensione, ora ci iscriviamo a corsi di arrampicata e facciamo progetti per il futuro.

Il mondo è diventato piccolo, la tecnologia aiuta ma noi, genitori, comunque con il tempo rincoglioniamo e diventiamo ancora più intolleranti di quanto non lo fossero i nostri genitori con noi.

Voi figli, non dovete per forza capirci, non dovete comprenderci, perché spesso noi stessi non ci capiamo, dovete provare ad accettarci e insistere nel comunicare con noi, perché noi non siamo capaci a farlo, nessuno ce lo ha insegnato, ai nostri tempi non serviva, serviva saper andare di lima bastarda, fare andare il tornio e lavorare come se non ci fosse un domani. Perché spesso, a parte il lavoro, un domani, dal punto di vista culturale e sociale, per molti di noi, non c'era davvero.

Noi siamo cresciuti comunicando poco: mio papà con me comunicava poco, non perché non mi volesse bene, ma perché il mondo funzionava così, non è mai venuto a un colloquio a scuola, non si è mai seduto a confrontarsi con me delle mie cose, non mi ha mai detto:"Parliamo". Veniva a vedermi alle partite quando giocavo perché gli piaceva il calcio ma invece di caricarmi mi diceva quanto ero scarso e dove avevo sbagliato, in modo anche molto duro, perché "così si impara, mai fare complimenti", lui faceva le sue cose io facevo le mie.

Ci volevamo bene, ma eravamo fatti così, il mondo funzionava così.

Se tu sei un imprenditore della mia generazione e hai dei figli, probabilmente li vedi come degli alieni, in parte da proteggere in parte da cazziare costantemente perché non sono all'altezza di quello che sapevi fare tu alla loro età, ti incuriosiscono ma ti fanno un pò paura e certamente hai paura per loro e per il loro futuro, non sono dei duri come te.

Hanno idee progressiste che noi non capiamo, vogliono fare cose che noi non faremmo mai.

Noi, imperatori del nostro piccolo regno che non molleremmo nemmeno da morti, nonostante tutti i proclami che facciamo nel voler far crescere i nostri successori, ci urtiamo quando vengono messi in discussione i nostri metodi e le cose che per noi hanno funzionato, ci urtiamo parecchio.

E' così, ti capisco, anche io sono così: voglio controllare tutto, voglio mettere il becco su tutto, non perché sono cattivo, almeno spero, ma perché ci sono già passato e non voglio che i miei eredi facciano gli errori che ho fatto io.

Così facendo, spesso, non ci rendiamo conto che invece di farli crescere com'è la nostra intenzione, se ci ostiniamo a volerne fare dei nostri cloni, otteniamo esattamente l'effetto contrario. Con la differenza che loro, non essendo corazzati e duri come noi, rischiano di subirci e diventare degli inetti o, presi da un moto di giusto orgoglio e rivendicazione personale ci manderanno silenziosamente o rumorosamente affanculo, allargando ancora di più il solco che noi non volevamo creare.

Sto scrivendo questo post per un motivo ben preciso: lo farò leggere a uno dei miei figli, Mattia, che dal prossimo mese inizierà, dopo un rodaggio nato durante il lock down, a lavorare a tempo pieno con me per sua scelta e volontà, perché questo mio coming out possa essere utile nei momenti di crisi che inevitabilmente ci saranno tra noi.

La foto che accompagna l'articolo ritrae me a sinistra e Mattia a destra, più o meno alla stessa età e mi si allarga il cuore ogni volta che la vedo.

Non ci speravo più, non avrei mai pensato che uno dei miei figli decidesse di venire a lavorare con me, da una parte questa cosa mi rattristava perché non vedevo continuità nel mio lavoro, dall'altra mi tranquillizzava perché non avrei mai dovuto vivere l'ansia di un passaggio generazionale.

Perché un conto è aiutare un'impresa nel suo passaggio generazionale, tutt'altro conto è vivere il tuo.

Ora sta succedendo, si sono create le condizioni affinché alcune delle competenze acquisite da mio figlio nel tempo possano essere messe a fattore comune in un progetto da sviluppare insieme. Da una parte sono super contento perché avere un figlio in azienda che vuole crescere è la cosa più bella che possa esistere per un genitore, dall'altra ho una fifa blu. Ho paura, nonostante il mestiere che faccio, di sbagliare approccio e di combinare un guaio perché, in un passaggio generazionale sbagliato, i guai li combiniamo a metà, senior e junior e quando invece va bene, i meriti sono sempre a metà, senior e junior.

Se sei un junior, porta pazienza, ma quello che vedi e la sedia su cui siedi è LA DITTA, quella che ti ha permesso di essere qui oggi, di avere un lavoro e che per il tuo genitore è un figlio, quasi come te.

La DITTA che non mi ha fatto dormire di notte e che mi ha tenuto lontano da te quando eri piccol* non perché non ti volessi bene, ma perché, per garantire il benessere che abbiamo oggi, La DITTA doveva funzionare.

Se sei un junior, probabilmente hai studiato più di me o come me, hai viaggiato più di me, hai visto posti a 20 anni che io non ho ancora visto a 60.

Hai fatto esperienze, hai visto culture, hai una cultura che io molto spesso non ho, e hai una visione del mondo che io certamente non ho, non perché io sia stupido, ma semplicemente perché sono nato e vissuto in un mondo che ora non c'è più e le opportunità che hai avuto tu, io alla tua età non le avevo.

Io non avevo bisogno di coach, allenatori e di corsi di formazione per crescere professionalmente. Calci nel culo, esperienza sul campo e l'inglese maccheronico mi sono stati sufficienti per creare quello che oggi vedi.

Lo so che non sarebbe più possibile farlo allo stesso modo nel mondo di oggi, ma mi illudo che sia così, porta pazienza, caro junior, se ogni tanto sono un pò rincoglionito, sono però ancora qui e voglio con tantissima forza e determinazione che tu cresca, anche se mi piacerebbe che lo facessi a modo mio, comprendo che non è possibile, aiutami anche tu.

Altrimenti ti prendo a mazzate, con tanto affetto eh, ;-)

A parte gli scherzi, impariamo, insieme, a migliorare la nostra comunicazione, reciprocamente.

La comunicazione è il solvente di quasi tutti i problemi, mettersi uno dalla parte dell'altro lo è ancora di più: non significa dare ragione o piegarsi però se tutte e due le parti in gioco, junior e senior, comprendessero l'importanza del compromesso, i passaggi generazionali sarebbero meno complicati.

L'arte del compromesso al posto del "conflitto generazionale"

Un compromesso non è una cosa bella: una delle due parti cede qualcosa, o tutte e due, con un compromesso, una delle due parti, o tutte e due, si alzano insoddisfatti.

Il tempo, l'età e l'esperienza però, mi hanno insegnato che l'arte del compromesso è la via migliore per trovare accordi.

Un accordo lascia tutte e due le parti pienamente soddisfatte ed è quello a cui ognuno di noi deve tendere, però, soprattutto nelle relazioni personali e nei passaggi generazionali non sempre è possibile stipulare subito degli accordi soddisfacenti.

Un compromesso può essere un buon inizio: accetto un compromesso perché so, che sulla base delle mie abilità negoziali e di comunicazione riuscirò a trasformarlo, nel tempo, in un accordo.

Questo è il segreto, funziona, è difficile perché bisogna lavorarci tanto, ma funziona.

Benvenuto a bordo Mattia, sarà certamente una bella avventura da vivere insieme.

Se vuoi saperne di più su questo argomento contattami qui: [email protected]

Il mantra di questo post è: nonrinunciaremaiacomunicarepertrovareaccordi

Per oggi è tutto.

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